“Quando ho ricevuto la prima diagnosi di Disturbo Alimentare ho provato un enorme sollievo” – afferma Aurora, Founder e CEO di Comestai. Finalmente aveva le parole per descrivere ciò che aveva vissuto per così tanto tempo. Quando ho iniziato il trattamento e ho cominciato a capire l’enorme lavoro che mi aspettava, ho capito che avrei dovuto affrontare aspetti difficili e scomodi.”
“Guardandomi indietro so che ho continuato ad aggrapparmi a certe parti del disturbo alimentare, anche mentre ero nel percorso di recovery. Facevo progressi una settimana, e quella dopo la paura che il mio corpo cambiasse rapidamente e l’incertezza su cosa significasse la guarigione per me mi facevano ricadere nei comportamenti legati al disturbo. Ero intrappolata in una “ruota del criceto” tra la motivazione a guarire da un lato, e il conforto in quei comportamenti così familiari ma, allo stesso tempo, dannosi.”
La realtà è che questo tipo di esperienza — due passi avanti e uno indietro (o a volte anche due) — è più la norma che l’eccezione nella guarigione dai disturbi alimentari. Molti credono che, una volta ricevuta la diagnosi e iniziato il trattamento, il percorso verso la guarigione sia lineare e continuo. Ma non è così.
Il mito della guarigione lineare
Spesso si immagina il percorso di guarigione da un Disturbo Alimentare come una linea retta — un’idea radicata nel modo in cui siamo stati abituati a pensare ai progressi. Nella matematica delle scuole medie, una linea lineare su un grafico è netta, costante, senza deviazioni. Nel contesto della guarigione, “lineare” implica un movimento costante verso comportamenti sani e lontano da quelli legati al disturbo alimentare. In altre parole, una volta iniziato il processo, si dovrebbe vedere una diminuzione dei sintomi giorno dopo giorno. “Lineare significa che qualcosa si muove in linea retta — verso l’alto o avanti — senza interruzioni. Se la guarigione fosse davvero lineare, non ci sarebbero momenti in cui ci si sente bloccati o si ha la sensazione di regredire.”
Eppure per la maggioranza delle persone, la guarigione dai disturbi alimentari non è lineare, per due motivi principali:
- La natura umana;
- I disturbi alimentari sono malattie egosintoniche;
“Qualsiasi cambiamento comportamentale, come cercare di andare a dormire prima, spendere meno al ristorante o iniziare a meditare, è difficile perché richiede uno spostamento continuo nella nostra routine quotidiana. E noi siamo, in fondo, creature abitudinarie — più facciamo qualcosa, più è difficile smettere, anche se lo vogliamo. Quando si somma la nostra natura umana alla potenza dei disturbi alimentari — che dominano silenziosamente tanti aspetti della vita quotidiana — è comprensibile che la guarigione sia difficile, richieda tempo, e che i miglioramenti non siano immediati né costanti. Aspettarsi il contrario è semplicemente irrealistico.”
Dobbiamo poi considerare la cultura nella quale viviamo che influenza, inevitabilmente, il percorso di recovery. “È un lavoro estremamente difficile cambiare i percorsi neurali per crearne di nuovi che non siano guidati dal disturbo alimentare,” afferma Aurora. “La mia guarigione non è stata lineare non solo a causa dei pensieri e dei comportamenti legati al disturbo, ma anche per la paura di guarire in una società che premia magrezza e restrizione. Era difficile immaginare di poter essere felice nella guarigione quando la cultura ci trasmette continuamente che per trovare gioia, successo, amore, accettazione e ‘salute’, bisogna fare esattamente le cose che mantengono il disturbo attivo.”
Aspettative irrealistiche su cosa dovrebbe essere la guarigione — costante, solida, sempre in avanti — possono portare a una sensazione di fallimento, rendendo i momenti di ricaduta ancora più duri da affrontare. “Quando la mia guarigione è apparsa più come un pasticcio confuso che una linea retta, ho dato la colpa a me stessa,” dice Aurora. “Pensavo fosse colpa mia se non riuscivo a mantenere la perfezione. La società si aspetta spesso la perfezione. E quando attraversiamo qualcosa di difficile come la guarigione da un disturbo alimentare, speriamo che sia come scalare una montagna: difficile, ma costante. Quindi, quando ci sentiamo bloccati o respinti giù dalla montagna, pensiamo che sia colpa nostra. I disturbi alimentari prosperano nella vergogna, e quando si arranca spesso ci sentiamo dire: ‘Vedi? Lo sapevo che non ce la facevi.’ Ma la verità è che queste difficoltà sono parte del percorso. Colpo di scena: la perfezione non esiste!”
Come è davvero la guarigione
Anche se il progresso lineare sembra l’ideale, la realtà è molto più complessa. Le ricerche mostrano che i disturbi alimentari sono altamente ricorrenti, con tassi elevati di ricaduta: in media, nell’arco di 10 anni, circa il 40–50% per l’anoressia, 40% per altri disturbi alimentari specificati, e 30% per bulimia e BED (disturbo da alimentazione incontrollata). Nonostante questi numeri, con il giusto supporto e trattamento, una guarigione duratura è possibile per tutti — ma il percorso non sarà lineare. Ogni percorso di recovery è poi diverso, da persona a persona.
Aurora racconta di come avrebbe voluto che qualcuno glie lo avesse spiegato, all’inizio del percorso, cosa aspettarsi davvero. “Penso che non sarei stata così dura con me stessa se avessi saputo quale fosse la vera aspettativa della guarigione.”
Aurora paragona il percorso di recovery da un Disturbo Alimentare alle strade di Roma: “La mia città, Roma, è nota per tante cose, soprattutto per le buche. Ecco il percorso di recovery è un po’ così: non è un’autostrada che corre lungo una linea retta, è più come una strada di periferia piena di buche, rotatorie, semafori. A volte è obbligatorio fermarsi. Utilizzare la macchina in città ti chiede il suo tempo, che devi rispettare. Significa che dovrai andare ad un ritmo diverso e in alcuni casi dovrai anche fermarti.“
Come — e perché — restare nel percorso di guarigione
Nessun percorso di guarigione è identico all’altro — e questo va bene, è normale. La guarigione è diversa per ognuno, quindi è importante essere curiosi, vigili e onesti con sé stessi e con il proprio sistema di supporto, per capire se si sta andando nella direzione giusta. Guarda alle cose che stai facendo e hai comportamenti che hai: quelli mostrano come ti stai comportando veramente, più di ciò che dici o pensi.
Se senti di non fare progressi, nota anche i piccoli segnali di miglioramento: “Magari sei più aperto a partecipare a un gruppo dopo settimane di rifiuto — questo è un progresso. Magari riesci a mangiare uno snack che un mese fa non avresti nemmeno immaginato — è una vittoria!”
Parla con la tua équipe se pensi di star tornando indietro. Le ricadute sono normali. Ma è nella vergogna e nel silenzio che il disturbo prospera. Dire ‘ho bisogno di supporto’ è un atto di coraggio, e può fare davvero la differenza.
Ricorda che anche dopo una ricaduta non si torna davvero al punto di partenza. La persona che eri all’inizio del percorso ha imparato molto. È impossibile annullare le esperienze fatte.
Prendi la guarigione un giorno alla volta, e sii gentile con te stesso. Parla a te stesso come parleresti a una persona cara. La bellezza sta nel continuare, sempre. Puoi farcela.