No Diet Day: rapporto tra dieta e disturbi alimentari

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Il 6 maggio ricorre in tutto il mondo l’International No Diet Day, una giornata istituita nel 1992 su un’idea di Mary Evans Young per contrastare le diete estreme e l’ossessione, sempre più diffusa, per il corpo e il peso.

Oltre 55 milioni di persone nel mondo soffrono di disturbi alimentari, 20 milioni in Europa. In Italia si stimano 3,5 milioni di casi, con diagnosi in aumento anche tra i più giovani

L’allarmante crescita dei Disturbi Alimentari

Negli ultimi anni, si è registrato un preoccupante aumento dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) in Italia. Secondo dati del Ministero della Salute, i casi intercettati sono passati da 680.569 nel 2019 a oltre 1,4 milioni nel 2022, con un incremento significativo tra i giovani.

L‘Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma ha evidenziato un aumento del 64% nelle nuove diagnosi tra il 2019 e il 2024, con un incremento del 38% nell’attività clinica dell’Unità di anoressia e disturbi alimentari .

Inoltre, la Società Italiana di Pediatria (SIP) segnala che circa il 30% dei casi riguarda bambini sotto i 14 anni, spesso non diagnosticati per anni .

Dieta e Disturbi Alimentari: un legame complesso

La pressione sociale verso canoni estetici irrealistici e la diffusione di diete restrittive possono contribuire allo sviluppo di DCA: la dieta è infatti uno dei primi fattori di insorgenza per lo sviluppo di un Disturbo Alimentare.

È importante sottolineare che la ricerca di un corpo “perfetto” attraverso diete estreme può portare a comportamenti alimentari disfunzionali, aumentando il rischio di sviluppare DCA.

A tal proposito, un recente studio pubblicato sulla rivista Eating Behaviors ha rilevato che gli adolescenti che seguono diete ipocaloriche hanno un rischio tre volte maggiore di sviluppare DCA rispetto a chi segue un’alimentazione equilibrata.

“La dieta, intesa come imposto dalla Diet Culture, ovvero come regime restrittivo, schema da seguire iper-controllante che prevede la categorizzazione dei cibi in sani e non sani o l’esclusione di intere categorie alimentari (senza che ci sia, ad esempio, una diagnosi medica di intolleranza o allergia), è un qualcosa di altamente disfunzionale, ancor di più nel trattamento dei Disturbi Alimentari” – afferma la Dott.ssa Lucia Elisabetta Abate, dietista nutrizionista e docente di Comestai.

“In generale non andiamo a considerare la dieta come la causa di un disturbo o disordine alimentare, ma essa rientra a tutti gli effetti, come dimostrato da numerosi studi, tra quelli che sono i fattori di rischio (soprattutto quando si sottopongono a diete bambini e/o adolescenti), i fattori di mantenimento e i fattori precipitanti. L’approccio nutrizionale consigliato nel trattamento dei DCA non prevede quindi alcuna somministrazione di dieta, si lavorerà piuttosto su e con la persona attraverso un percorso di riabilitazione nutrizionale e con un approccio non prescrittivo.”

Alcuni aspetti da considerare

Una ricerca condotta dal National Eating Disorders Association (NEDA) mostra che più del 90% dei DCA iniziano con un tentativo di perdita di peso attraverso una dieta. A questo si aggiunge poi che secondo l’American Academy of Pediatrics, il 35% di chi inizia una dieta sviluppa sintomi precoci di un disturbo alimentare.

Uno studio pubblicato su Journal of Adolescent Health ha rivelato che gli adolescenti che fanno dieta hanno un rischio 5 volte maggiore di sviluppare anoressia o bulimia rispetto ai coetanei.

L’impatto della pandemia

La pandemia di COVID-19 ha esacerbato la situazione, con un incremento del 30% dei DCA, spesso associati a disturbi mentali come l’autolesionismo e il suicidio tra i giovani . Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, dal 10% al 20% dei bambini e adolescenti nel mondo soffre di disturbi mentali, con il suicidio che rappresenta la seconda causa di morte tra i 15 e i 29 anni.

Non sempre dieta corrisponde a salute

Non tutte le diete sono dannose, ma il problema nasce quando la dieta è autoprescritta, ossessiva o imposta da modelli estetici irrealistici. In questi casi, ciò che nasce come “tentativo di miglioramento” può degenerare in una relazione disfunzionale con il cibo, il corpo e l’autostima.

“Nei percorsi di riabilitazione nutrizionale la persona è messa al centro del percorso e sarà coinvolta attivamente nello stesso” – continua la Dott.ssa Abate racconta il ruolo del dietista in un percorso di recovery per un DCA.

“Questi percorsi non prevedono la prescrizione di una dieta e hanno lo scopo di restituire serenità ed equilibrio alla persona relativamente al proprio rapporto con cibo, peso e corpo. Negli stessi Quaderni del Ministero della salute rappresentano il tipo di percorso nutrizionale da scegliere nel trattamento di un disturbo o disordine alimentare. Durante il percorso il nutrizionista (adeguatamente formato nel trattamento dei Dca) si avvarrà di tecniche come il TFC (Training di familiarizzazione con il cibo), l’Educazione terapeutica e Alimentare, il Pasto Assistito e il Counseling nutrizionale. Ognuna di queste strategie sarà usata nel momento opportuno del percorso di cura e in coordinamento con gli altri professionisti dell’equipe multidisciplinare.”

Un’alimentazione sana non è una dieta rigida, ma un insieme di abitudini flessibili, sostenibili e guidate da professionisti.

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