Una caratteristica spesso sottovalutata dei Disturbi del Comportamento Alimentare è la distorsione percettiva delle porzioni di cibo: un meccanismo che alimenta restrizioni, abbuffate e cicli di controllo rigido, mantenendo vivo il disturbo.
Chi soffre di DCA spesso manifesta non solo una rappresentazione distorta del proprio corpo, ma anche delle quantità di cibo, portando a comportamenti alimentari disfunzionali e a una compromissione del benessere psicofisico.
Percezione corporea e alimentare: due facce della stessa medaglia
Molti studi si sono concentrati sulla distorsione dell’immagine corporea nelle persone con anoressia nervosa (AN): la tendenza a percepire il proprio corpo come più grande di quanto sia realmente. Cornelissen e colleghi hanno dimostrato che, pur essendo un bias presente in forma lieve anche nei soggetti sani, nelle persone con AN la sovrastima delle dimensioni corporee è marcata e persistente.
Analogamente, chi soffre di AN tende a sopravvalutare la quantità di cibo in un piatto. Questo fenomeno si inserisce nello stesso schema percettivo che porta a ingigantire la forma del corpo: uno stile cognitivo ipercontrollante e focalizzato su dettagli minacciosi. Seeger e colleghi hanno mostrato, con uno studio di neuroimaging, che la percezione distorta attiva l’amigdala, struttura chiave nel processamento delle emozioni come paura e ansia, suggerendo che la visione di cibo “abbondante” possa evocare una risposta di allarme analoga a quella provocata dall’immagine di un corpo percepito come “troppo grande”.
Cosa dice il cervello
Queste distorsioni non sono soltanto errori di valutazione razionale: affondano le radici in circuiti cerebrali specifici. Uher e altri studiosi hanno evidenziato differenze significative tra soggetti con DCA e controlli sani nel modo in cui il cervello elabora immagini legate alla forma corporea. Le aree implicate – tra cui la corteccia parietale e l’amigdala – sono attivate in modo anomalo durante compiti di percezione visuo-spaziale. È verosimile che queste alterazioni influenzino anche la valutazione visiva delle porzioni di cibo, sebbene molti studi abbiano esplorato più a fondo la parte corporea.
Ruolo dell’attenzione e del dettaglio
Un fattore determinante è anche il modo in cui l’attenzione viene direzionata. Cornelissen e altri colleghi hanno mostrato che la sovrastima della dimensione corporea è più legata a dove si fissa lo sguardo che non alla diagnosi in sé: le pazienti tendono a concentrarsi su parti del corpo vissute come problematiche. Traslato al cibo, questo significa che chi soffre di AN può focalizzarsi su dettagli come la dimensione di un singolo boccone o la quantità di condimento, interpretandoli come “eccessivi” rispetto alla realtà.
Aspetti emotivi e di ricompensa
Un’altra prospettiva interessante viene da studi sul processamento di stimoli alimentari. Ricerche come quella di Miyake e colleghi hanno osservato che durante la visione di immagini corporee distorte, i pazienti con DCA mostrano un’attivazione alterata di aree limbiche e prefrontali, evidenziando un intreccio tra valutazione cognitiva ed emozione. Questo spiega perché la vista di un piatto di pasta “normale” possa generare ansia intensa: l’informazione visiva è elaborata insieme a schemi di pensiero catastrofici (“se lo mangio ingrasserò subito”) e a risposte emotive di paura.
In chi soffre di bulimia nervosa o di disturbo da alimentazione incontrollata, il fenomeno può invertirsi: la persona sottovaluta la quantità di cibo durante un’abbuffata, perdendo la percezione reale di quanto sta ingerendo. Questo alimenta il senso di perdita di controllo e la successiva colpa.
Implicazioni per la terapia
Capire come viene percepita la porzione è cruciale per aiutare chi vive un DCA.
La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) lavora proprio per modificare le valutazioni irrealistiche. Fairburn, uno dei principali autori in quest’ambito, sottolinea l’importanza di rieducare la persona a riconoscere porzioni realistiche e a gestire l’ansia associata.
Approcci innovativi, come l’uso della realtà virtuale, stanno mostrando risultati promettenti per la distorsione dell’immagine corporea: estendere queste tecniche all’esposizione graduata a porzioni di cibo potrebbe offrire nuovi strumenti terapeutici.
Cambiare sguardo
Chi soffre di DCA percepisce le porzioni di cibo attraverso lenti deformanti, plasmate da ansia, schemi cognitivi rigidi e circuiti cerebrali che elaborano le informazioni in modo distorto. Il lavoro terapeutico punta a restituire una visione più realistica, agendo non solo sul comportamento alimentare, ma anche sui meccanismi percettivi ed emotivi sottostanti.
L’articolo è stato scritto in collaborazione con Animenta