Essere accanto a un figlio che affronta un Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA) è un’esperienza difficile. Oggi vi raccontiamo la storia di una mamma che con grande sincerità e delicatezza ci ha raccontato del percorso di sua figlia con la nostra équipe, cercando di far comprendere cosa significa vivere ogni giorno accanto a chi lotta contro una malattia tanto complessa quanto invisibile.
Che cosa significa stare accanto a chi affronta un DCA?
“È davvero inspiegabile per chi non lo vive. Da mamma, l’ho vissuto – e lo vivo tuttora – passando attraverso frustrazione, senso di colpa e dolore profondo. C’erano giorni in cui sentivo inutile.
Da madri siamo abituate a pensare di essere nutrimento a 360 gradi, non solo a livello fisico ma anche affettivo, emotivo. E ritrovarsi davanti a una figlia che piange davanti a un piatto quasi vuoto e ti dice: ‘Mamma, lo sai che io non ce la faccio’… è devastante.
Quando ami qualcuno, trovi sempre un modo per stargli accanto, ma è difficile, faticoso, e spesso non sai da dove cominciare.”
Sua figlia ha iniziato a soffrire di DCA più di due anni fa anche se le ha raccontato che il Disturbo Alimentare c’è, in realtà, da molti più anni. Per lei, i primi tempi sono stati di totale smarrimento.
Qual è stata la cosa più difficile?
“In molti momenti mi sentivo estranea, avevo paura perfino di toccarla, di farle una carezza. La cosa più difficile è stata farle capire che non ero io la ‘cattiva della storia’.
Vederla soffrire senza sapere cosa fare mi spezzava dentro. Mi ripetevo: ‘Come è possibile che io, sua madre, non riesco ad aiutarla?’
Col tempo, e anche grazie al supporto giusto, ho capito che la pazienza e l’affidarsi a professionisti sono stati i passi fondamentali.”
Nella nostra chiacchierata, le viene in mente un momento preciso, che le ha insegnato il valore dell’attesa e della presenza:
“Un giorno, appena tornata dal ricovero, mangiava solo qualche pomodoro e una fettina sottile di primo sale. Io le dissi: ‘Quando sei pronta, mangiamo insieme.’
Alle quattro del pomeriggio mi ha detto: ‘Mamma, proviamo.’
In quel momento ho capito che la vicinanza, il restare lì accanto, anche in silenzio, può fare la differenza.”
L’incontro con Comestai
“All’inizio ci siamo mossi subito, ma sui canali sbagliati. Abbiamo incontrato una nutrizionista che non era specializzata e ha prescritto una vera e propria dieta, che naturalmente non era la strada giusta.
Poi, per una coincidenza, la migliore amica di mia figlia ha iniziato a stare male: DCA, depressione, autolesionismo. Parlandone con la nostra terapeuta familiare, siamo stati indirizzati finalmente da una dietista specializzata.
In quel momento, mia figlia era in una fase di ricaduta acuta, non mangiava né beveva da giorni, diceva di stare bene, ma io sapevo che era la voce della malattia. Poi si è sentita male ed è stata ricoverata.
L’unica porta davvero aperta è stata quella di Comestai, con la Dott.ssa Abate. Con poche parole mi ha fatto capire che una via d’uscita esisteva, e che insieme avremmo potuto trovarla.
Oggi mia figlia si fida ciecamente della vostra dietista, si sente libera di parlare delle sue paure e questo, per me, è un dono immenso.”
Che cosa è stato di maggiore supporto per te, come genitore?
“Per me Comestai è stato un punto di riferimento, non solo per mia figlia ma anche per noi genitori.
Ho imparato come comportarmi durante i pasti, come affrontare le domande difficili e, soprattutto, ho capito che non ero una madre inadeguata.
Prima di arrivare da voi pensavo di aver sbagliato tutto, di aver fatto qualcosa di sbagliato nella sua crescita. Invece ho capito che i DCA non sono una colpa, ma una malattia da affrontare insieme.”
Oggi le mattine a casa hanno un sapore diverso.
“Ricordo quando mia figlia si bloccava davanti alla porta della cucina, dicendo: ‘No, mamma, no.’
Ora facciamo colazione insieme. La vedo sedersi, prepararsi il cibo con serenità. Non ha più paura.
È un piccolo grande miracolo quotidiano.”
Uno sguardo diverso sui disturbi alimentari
“Prima di vivere tutto questo non sapevo cosa fosse davvero un Disturbo Alimentare.
Da ragazza pensavo che ‘anoressica’ fosse solo un modo per dire che una persona era molto magra.
Oggi so che non è così: è un disturbo psichiatrico, profondo, e non ha nulla a che fare con l’aspetto estetico.
Mi sono informata, ho letto tanto, e continuo a farlo ogni giorno. È una strada lunga, ma ora la percorriamo insieme.”
Un messaggio di gratitudine
“Grazie di cuore per quello che fate, per quello che siete e per come lo fate.
Non solo dal punto di vista professionale, ma soprattutto umano.”